È un errore, o una pura violenza simbolica, continuare ad assumere la “questione curda” come non risolta.
Per studiosi, esperti di politica e politici burocrati la questione curda, per le sue complesse implicazioni sotto e sovranazionali, rimane il dilemma più rilevante dei nostri tempi. La resistenza epica portata avanti da YPG-YPJ contro Daesh ha portato la questione curda sotto i riflettori internazionali come mai prima d’ora. Si tengono seminari e conferenze, vengono scritti articoli e libri a ritmi serrati e sempre più persone, assettate di informazioni, affollano le centinaia di pagine presenti nei social network in appoggio alla causa curda.
Tuttavia la fredda etichetta di questione curda riusciva solo a provocare crescenti livelli di violenza da parte degli Stati per risolvere il ‘problema’, colpevoli i curdi e il loro ostinato rifiuto di assimilarsi, ovvero di turchizzarsi, arabizzarsi o persianizzarsi. Di conseguenza, per decenni i curdi hanno dovuto affrontare una pesante pulizia etnica, trasferimenti forzati, politiche di arabizzazione, genocidi e perdita dei diritti umani più elementari, come risultato delle decisioni arbitrarie e artificiose che quegli stessi Stati avevano architettato con le loro violente penne coloniali. Gli Stati artificiali e le loro macchinazioni repressive e ideologiche hanno promosso politiche violente e oppressive, atte ad escludere, tramite la costruzione di identità nazionali mitiche quanto immaginarie e la fabbricazione ad arte di una unica storia, una unica nazione, una unica lingua e una unica bandiera. Questa identità scritta nel sangue non è una caratteristica peculiare degli Stati post-coloniali, ma è una caratteristica strutturale di tutti i moderni ‘stati-nazione’.
Il principale obbiettivo interno ed esterno in ciò che continua ostinatamente ad essere considerata la questione curda implica questo tipo di discorso: “c’è un totale fallimento da parte del sistema internazionale nel risolvere questo problema, o anche solo di riconoscere ciò che si sta compiendo contro il popolo curdo, soprattutto alla luce di questa vasta e inquietante escalation di violenza nei confronti dei curdi soprattutto in Turchia”. Si prospetta una nuova “missione civilizzatrice”, in questa logica eurocentrica-orientalista che presuppone che i curdi “soggettivizzati” come “poveri sfortunati” aspirino al sistema neo liberista, stato-centrico, e capitalista, per risolvere il loro “problema”- problema che questo stesso sistema è interessato a mantenere.
In realtà, il livello incommensurabile dei danni causati deliberatamente ai siti storici come Sur, Nusaybin e attualmente Shex Maqsud è la prova inconfutabile della mancanza di volontà e di interesse da parte di questo sistema; infatti questo sistema è coinvolto nell’intento di distruggere il legame tra identità e passato per spezzare la determinazione del popolo curdo. Come curdi, il nostro dialogo interno e i rapporti con l’Occidente non sono ancora riusciti a far emergere con decisione e orgoglio la fine del “problema” - un termine che implica che la colpa stia in quelli i cui diritti umani fondamentali sono violati e che la loro stessa esistenza serve al sistema per avere un ‘problema’ -; quando con ‘problema’ si intende meramente il luogo dove i curdi dovrebbero rivendicare i loro diritti etnico-religiosi all’interno del Medio Oriente.
Sicuramente, la violenza contro i curdi continua a dimostrare la supremazia e il fallimento del sistema internazionale eurocentrico e stato-centrico, e, fatto ancora più rilevante, dimostra il fallimento sia della democrazia neoliberista, che del sistema parlamentare capitalista, come del paradigma dominante del ‘nuovo ordine mondiale. Mercificazione, deregolamentazione, privatizzazione, outsourcing, sindacati depotenziati, tassazione ridotta per i ricchi, crescente divario tra ricchi e poveri, spoliticizzazione, anti-intellettualismo, crisi finanziarie globali, degrado ambientale, guerre neo-colonialiste che hanno portato alla catastrofe in Iraq e Afghanistan, l’ascesa dell’ISIS e di altre organizzazioni terroriste nate localmente ma “stimolate” a livello internazionale e l’industria delle armi associata, sono sintomatici dei fallimenti della democrazia eurocentrica, stato-centrica e neoliberista. Il popolo curdo e le altre minoranze etnico-religiose si stanno fortificando politicamente grazie alla pratica della Confederalismo Democratico; continuano a costruire percorsi di democrazia diretta, comuni e cooperative, consigli di strada, locali e regionali allo scopo di aumentare il coinvolgimento politico, la partecipazione e la gestione della proprietà collettiva, anche nel tentativo di rimuovere decenni di odio e di continui conflitti primordiali per sostituirli con un rapporto basato su valori comuni di tolleranza e mutualistica co-esistenza.
Gli accademici occidentali, gli esperti e i politici continuano ad affannarsi sulla questione curda, mentre dovrebbero porre la loro attenzione sul fallimento intrinseco delle loro infrastrutture capitaliste, della democrazia neoliberista e della sua incapacità di rispondere con sufficiente equilibrio ed efficacia alle diverse esigenze delle masse sfruttate come pure delle minoranze. Invece di fare questo la democrazia neoliberista continua a promuovere in modo aggressivo l’omogeneità culturale soprattutto in quelle società che si definiscono ‘democratiche’ e ‘multiculturali’.
In luoghi come l’Australia la coesione nazionale si esprime attraverso uno schema razziale illuminista e la sua propaggine politica identitaria e xenofoba che ha avuto il suo culmine nel disastroso “Tampa affair”. Voltare le spalle ai “boat people” o all’insieme dei “sub-umani” che stanno nel posto più basso dello schema razziale, come l’allora primo ministro John Howard ha sentenziato: “noi decidiamo chi entra in questo paese e le circostanze in cui questo deve avvenire”, questo l’approccio politico, sostenuto più tardi dai governi laburisti, con la conseguente istituzione di centri di detenzione off-shore. Reclusione, malattia mentale, omicidio, stupro di già vulnerabili bambini e donne in cerca di rifugio e tentati suicidi sono alcuni dei risultati prodotti da mesi se non anni di detenzioni forzate. In migliaia muoiono in mare nel tentativo di raggiungere porti ‘sicuri’, che ora lavorano alacremente per costruire muri di acciaio per tenerli fuori. il corpo senza vita di Alan Kurdi parlava di questa orribile verità.
Al contrario, il popolo curdo e le altre minoranze in Medio Oriente, resi consapevolmente forti e liberi dalla pratica del Confederalimo Democratico, stanno sostenendo centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati. La città di Kobane, essa stessa resa irriconoscibile dalla distruzione, ospita un campo profughi con più di 5000 persone. Allo stesso modo i cantoni di Cizire ed Efrin accolgono migliaia di persone sfollate e terrorizzate, in fuga dal brutale regime di Assad, o da Daesh, o da entrambi. Le ideologie veramente democratiche potenziano e promuovono la capacità umana collettiva e si fondano ed agiscono per aumentare non diminuire la solidarietà umana.
In posti come l’America e la Gran Bretagna, la democrazia neoliberista è sulla buona strada del collasso e in tutti e tre i paesi oligarchici continuano a dominare i mercati e il processo decisionale politico basato sull’aumento delle disuguaglianze economiche. In Gran Bretagna la politica di disuguaglianza di stampo thatcheriano ha portato all’elezione di un nuovo governo, che ha in gran parte fallito nell’affrontare le disuguaglianze intrinseche del sistema neoliberista; i successivi governi di centro-sinistra e di destra hanno portato a questo stato di crisi economica e alle misure di austerità intese a rendere i ricchi più ricchi, mentre chi è povero è in perenne lotta per far quadrare il bilancio.
In America in particolare, la nascita del Trumpismo ha dimostrato il fallimento del sistema americano, subordinato ai “think tank”, ai PACs, alle lobby e ai media. Questo indebolimento dei controlli e degli equilibri democratici ha provocato nella competizione in corso un errore di indirizzo nella valutazione dei problemi, vedi per esempio, lo sviluppo di prigioni viste come complessi industriali e la successiva brutalità della polizia, così ben denunciato dal movimento “Black Lives Matter”. Allo stesso tempo, la perdita dei diritti delle donne, i tentativi in corso di stroncare Planned Parenthood, limitando i diritti riproduttivi e l’autodeterminazione delle donne anche in caso di stupro, dimostra il fallimento su più piani del modello neoliberista democratico americano. La politica mega-costosa dei candidati, poi, supportata dal libero mercato e dalle lobby ha trasformato il modello democratico americano in un guscio vuoto, dove gli interessi dei lobbisti vincono a scapito delle elezioni democratiche e degli interessi degli elettori. Nulla incarna in modo più spettacolare è allarmante questa tendenza del miliardario Donald Trump, candidato alla presidenza, la cui piattaforma si basa su politiche fortemente fasciste, razziste, contro i rifugiati e pronta a rinfocolare la già esistente islamofobia, come continuano a fare le guerre neo-imperialiste d’oltremare.
Anche l’Europa non è immune da questo deperimento della cosiddetta democrazia capitalista. Il recente rapporto “Freedom House” avverte che “la crisi dei rifugiati e i problemi economici strutturali stanno minacciando la sopravvivenza dell’Unione europea”. Una sempre più tangibile mancanza di trasparenza e di responsabilità ha provocato il declino e l’inquietante deterioramento delle nascenti democrazie nei Balcani. Paesi come Serbia, Montenegro e Macedonia hanno usato “uomini politici forti” per strappare la clemenza dell’Unione - la ormai moribonda Unione delle 28 democrazie capitaliste - la cui scellerata risposta comune alla cosiddetta “crisi dei rifugiati” ha dimostrato quanto sia ormai intrinsecamente giunta al fallimento morale, normativo e istituzionale.
Intanto, la Turchia ha usato furbescamente la crisi dei rifugiati per costringere l’Unione europea ad essere “indulgente” nei negoziati per la sua adesione e su come essa continui ad avere un “approccio” alla questione curda basato di fatto esclusivamente sul genocidio. La risposta del sistema capitalista è dare più soldi alla Turchia, anche dopo l’inquietante rapporto di Amnesty International sui recenti atti di rimpatrio forzato di profughi siriani attraverso il confine. La democrazia capitalista sotto la guida illiberale di Angela Merkel ha portato a porre in second’ordine i principi base della democrazia, come la libertà di espressione, come dimostra la censura, con la minaccia di pene detentive, nei confronti dei satirici tedeschi che hanno sbeffeggiato Erdogan.
La continua negazione della legittimità dei diritti delle minoranze, mentre sono impegnate in un attiva resistenza e autodifesa, attraverso l’annacquamento delle legittime istanze e la totale cancellazione delle rivendicazioni storiche risulta particolarmente evidente nella dissoluzione, tramite l’assimilazione nel sistema democratico liberista, delle Tigri Tamil; oppure ponendo nella giusta attenzione gli indigeni e le comunità aborigene in tutto il Medio Oriente, in America Latina, in Asia, in America, in Canada e in Australia che continuano ad essere etichettati come “terroristi”, “dissidenti”, “radicali”, incivili - leggi antidemocratici - selvaggi.
Il governo turco dell’AKP, nel frattempo, continua a massacrare i curdi nel silenzio, e quindi con il consenso, della comunità internazionale. Non sorprende che, alla luce di una tale repressione, aumentino sempre più le istanze “rivoluzionarie” - non “radicalizzate” perché implicherebbe un visione eurocentrica-orientalista, con uno sguardo dall’alto verso il basso che svilisce la legittimità del diritto delle minoranze all’autodifesa di fronte a uno stato che sponsorizza, tramite la NATO, il terrorismo di piccoli gruppi etnici - mentre i giovani continuano a riversarsi nelle montagne del Kurdistan per rifugiarsi e trovare i guerriglieri, ma soprattutto per ottenere l’approfondimento ideologico necessario per combattere le strutture oppressive e genocide dello stato.
La mitica “fine della storia” di Fukuyama, professata con tanta sicurezza dai portavoce degli accademici e degli intellettuali del nuovo ordine mondiale, guidato dall’egemonia americana, è stata totalmente smascherata; in Medio Oriente si è sviluppato un modello di democrazia radicale, alternativo e legato al territorio, il Confederalismo Democratico, che dimostra il fallimento della democrazia capitalista.
Allo stesso modo, anche se si parla spesso, soprattutto dopo l’11 settembre, della profezia di Huntington di uno “scontro di civiltà”, ciononostante non si poteva prevedere che lo scontro si sarebbe verificato tra la democrazia neoliberista - il cui decadimento dimostra le incoerenze e gli antagonismi intrinsechi al sistema capitalistico - e la democrazia radicale che caratterizza il Confederalismo Democratico, teorizzato da Abdullah Ocalan, partendo dalle opere di Murray Bookchin.
La democrazia eurocentrica, stato-centrica, neoliberista non avrebbe mai immaginato che il cosiddetto scontro di civiltà sarebbe stato con un sistema democratico alternativo. Presuppone che il suo sistema democratico sia l’unica alternativa valida al fascismo, al terrorismo e ad altri sitemi violenti; la sua cecità epistemologica non riesce a valutare in modo critico nè a giudicare il razionalismo occidentale. Invece il suo orientalismo eurocentrico lo rende cieco di fronte ai falchi neoliberisti che immaginano un mondo riempito solo da ‘terroristi islamici’ per alimentare in eterno le loro macchine da guerra. I neoliberisti hanno continuato a dominare e ri-orientare i più importanti enti e istituzioni internazionali tra cui ONU, NATO, Banca mondiale, FMI, OCSE, promuovendo la propria versione della democrazia capitalista. Mohamad Tavakoli-Targhi guarda verso una “alternativa non-europea”, dove gli sviluppi e “i processi sociali non sono stati caratterizzati dall’assenza di cambiamento e da una storia antistorica.”
Non avrebbero mai immaginato che una delle comunità più profondamente oppresse in Medio Oriente avrebbe formulato una cosmologia così complessa, coerente, inclusiva, multi-culturale, anti-monopolistica e orientata al consenso, una filosofia che si approccia in modo diverso alla risoluzione delle attuali istanze delle minoranze, e che il Loro sistema, nel migliore dei casi, non era riuscito a indirizzare se non, nel peggiore, a reprimere attivamente sotto forma del Panopticon di Bentham progettato per servire gli interessi di una élite.
Ma chi può formulare una soluzione all’oppressione meglio dei più oppressi, dei più marginalizzati?
È ora.
È il momento come attivisti/e e accademici/e curdi/e di smettere di meravigliarsi riguardo all’apparentemente non risolvibile “questione curda”. Non siamo una questione da risolvere; non siamo una formula matematica! Siamo un collettivo raziocinante di persone profondamente oppresse la cui ideologia di liberazione ha prodotto un modello per conto suo e idoneo a milioni di altri individui colonizzati; una soluzione per cui la modernità capitalista era riuscita a mettere in campo solo genocidi e pulizia etnica. Se non riusciamo a capire chiaramente questo, riduciamo il significato e la forza del nuovo paradigma, che sta dimostrando di essere il più efficace da 5000 anni a questa parte.
Non è più la questione curda, ma l’alternativa curda che deve essere al centro della nostra attenzione.
I curdi hanno individuato la soluzione del problema come non mai.
La vera domanda è quanto duramente il sistema democratico eurocentrico, stato-centrico, neoliberista si batterà prima di accettare la sua spettacolare sconfitta.
di Hawzhin Azeez*
*Hawzhin Azeez ha un dottorato di ricerca in scienze politiche e relazioni internazionali, è un’avvocata attiva nella causa dei diritti delle donne e dei rifugiati. Attualmente sta lavorando alla ricostruzione di Kobane con il Kobane Reconstruction Board.
L’articolo è stato pubblicato in inglese il 22 04 2016 su KurdishQuestion.com
traduzione a cura di Cristina Tonsig